Omelia del vescovo Egidio per la solennità dell’Ascensione del Signore
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16 maggio 2021 - Chiesa Cattedrale

 

La Chiesa di Mondovì ieri e oggi

 

Poco fa, ho compiuto, con una piccola rappresentanza e a nome di tutti, il tradizionale cammino che da Mondovì porta a questo Santuario, passando per la via delle Cappelle, e pensando alle migliaia di persone che nei secoli lo hanno percorso con spirito di fede.

Migliaia di persone nel computo totale del tempo, ma per lo meno centinaia nelle singole occasioni.

E il raffronto non può non sorgere spontaneo, suscitando diverse domande: un tempo eravamo in tanti, oggi siamo pochi, a motivo della pandemia. Ma da tempo, mi si dice, il numero è andato comunque riducendosi pur in tempi normali.

 

La Diocesi di Mondovì per diversi secoli è stata una Chiesa esemplare, con un tessuto di fede solido, che ha generato vocazioni missionarie per tutta la Chiesa, ha creato istituzioni educative per i giovani ed assistenziali per gli anziani e ammalati, ha costruito edifici sacri e animato la società civile con figure di rilievo.

Per secoli, siete stati, siamo stati una Chiesa vigile e generosa, viva e feconda.

Voglio credere che anche la speciale devozione alla patrona, la Regina del Monte Regale, sia stata importante nell’esperienza della fede, e che proprio quell’esperienza abbia favorito, se non determinato, la ricchezza di esperienze e concreti risultati cui mi riferivo guardando indietro.

 

“Noi abbiamo il pensiero di Cristo”

 

La storia personale e collettiva attesta infatti che, specie sui lunghi tempi, non bastano l’intraprendenza e la buona volontà; al contrario, queste esprimono il meglio quando sono animate da principi e valori spirituali, che, per noi, sono, alla fine, quelli evangelici.

“Noi abbiamo il pensiero di Cristo”, dice san Paolo nella prima lettera ai Corinzi (1 Cor 2,16). E io credo che anche quella Chiesa Monregalese capace di dare un volto alla città e al contado, e di innervarli di valori e presenze cristiani, avesse il costante pensiero di Cristo. Cristo come guida. Il Vangelo come libro di riferimento.

Ma oggi?

Dicevo che il confronto mi ha insidiato, con la sua evidenza sconfortante: in questi ultimi tempi, velocemente, il clima è cambiato. La prova più semplice ed evidente sta nell’assottigliamento del numero dei partecipanti ai due momenti annuali che da Mondovì ci portano a questo pilone, insieme a una certa disaffezione al Santuario stesso, normalmente privo di fedeli in preghiera; solo qualche turista attratto dalla cupola ma incurante della Madonna! Certo, quest’ultimo anno è stato segnato dalla pandemia, ma non possiamo illudere noi stessi raccontandoci che tutto possa spiegarsi con l’eccezionalità delle condizioni recenti. In verità, il calo risale a ben prima, e non ha mai conosciuto inversioni di tendenza.

 

Una domanda: Cosa vogliamo essere?

 

Personalmente non ho termini di confronto: mi baso ovviamente su testimonianze altrui; ma sono certo della loro attendibilità e del fatto che anche il nostro pellegrinaggio annuale può essere il segno effettivo di un dato di fede.

Un dato che esprime inequivocabilmente un calo di interesse.

Dopo averne preso atto, mi chiedo cosa si possa fare per ravvivare la fede della nostra comunità. E prima ancora, dove si debba tentare. D’istinto, risponderei che il luogo deputato, il contesto ideale rimarrebbero le famiglie, nuclei fondamentali, cellule prime della società e della Chiesa.

 

Ma, poi, subito, se mi rappresento la realtà concreta delle famiglie e dei singoli che siamo, mi sorge un altra domanda: che cosa vogliamo essere, ciascuno di noi, le nostre famiglie e le nostre comunità?

Vogliamo continuare a essere cristiani e credenti oppure no?

 

Come è noto, un giorno Gesù chiese ai discepoli: “Voi, chi dite che io sia?”. Oggi, forse, dovremmo noi chiedere a Lui: “Tu chi dici che noi siamo?”; Che dici di noi?
Detto diversamente: davanti a Cristo, possiamo ancora dirci cristiani? Lo abbiamo ancora come modello e punto di riferimento? Nel suo tessuto più intimo, le fibre della nostra società sono ancora cristiane? E quanto? Profondamente, parzialmente, pallidamente?
Sono domande cui rispondere pare difficile, forse spaventa. Riguardano soprattutto le nuove generazioni: i giovani genitori e poi via via, semplicemente i giovani, gli adolescenti,  i ragazzi, ovvero il domani e il futuro di questa terra.

Come in tutte le vicende, gli inizi di un deterioramento sono da principio silenziosi e trascurati, ma il rischio è che poi la slavina rotoli irrimediabile.

Una cosa è certa: non possiamo far finta che niente sia successo o stia succedendo, vivendo banalmente o superficialmente alcuni appuntamenti tradizionali, più come occasione di feste che come momenti di fede, come comunioni o cresime. Significherebbe andare quietamente incontro al disastro, al nulla.

 

Verso una generazione senza Dio?

Ultimamente sono state numerose le indagini sul sentimento religioso degli italiani, delle nuove generazioni. Emergono evidenti alcuni aspetti, specie il cosiddetto “salto generazionale”, il fatto cioè che coloro che sono nati dopo il 1980 rappresentano la fascia di popolazione più “lontana” dal cattolicesimo rispetto ai loro padri. C’è chi parla di generazione “più estranea” all’universo cristiano, c’è chi giunge a definirla semplicemente come “generazione post cristiana” sino a chi si interroga se non sia proprio “una generazione senza Dio”. Il dato riguarda la dichiarazione di cattolicità, la professione del credere, l’assiduità della preghiera personale e soprattutto la regolarità ai riti religiosi.

 

I nati dopo il 1980, per un buon decennio sono i genitori di oggi. Vengono descritti come vi ho appena mostrato. Addirittura, accade sempre più spesso di incontrare ragazzi e giovani che nel cammino di fede sono più avanti e più interessati dei loro genitori. Il ruolo dell’adulto che accompagna, in questi casi, risulta completamente ribaltato e soprattutto non coincide più, automaticamente, con la figura del genitore.

 

Eppure io credo che solo dalla famiglia possa partire un recupero del sentimento cristiano di fede. C’è contraddizione? Non credo. C’è realismo unito a speranza.

Il realismo di chi sa  che la soluzione dei problemi etici e religiosi non può esclusivamente rimanere nelle mani delle istituzioni, fosse pure la Chiesa o la parrocchia, ma dipende dal quotidiano familiare, che è determinante per l’educazione umana e spirituale degli uomini di domani; e la speranza che, anche mosse dalle istituzioni, ma soprattutto illuminate dallo Spirito e aiutate da una nuova intelligenza delle cose, le nostre famiglie, specie quelle giovani, riscoprano l’importanza e la centralità della fede e dei suoi valori.

 

Ripartiamo dalla famiglia

 

Ritengo che sia in questa prospettiva che Papa Francesco proprio alla famiglia abbia pensato e voluto dedicare l’anno che ci sta davanti. Ha infatti scritto: “Siamo chiamati a riscoprire il valore educativo del nucleo familiare: esso richiede di essere fondato sull’amore che sempre rigenera i rapporti aprendo orizzonti di speranza. In famiglia si potrà sperimentare una comunione sincera quando essa è casa di preghiera, quando gli affetti sono seri, profondi e puri, quando il perdono prevale sulle discordie, quando l’asprezza quotidiana del vivere viene addolcita dalla tenerezza reciproca e dalla serena adesione alla volontà di Dio. In questo modo, la famiglia si apre alla gioia che Dio dona a tutti coloro che sanno dare con gioia. Al tempo stesso, trova l’energia spirituale di aprirsi all’esterno, agli altri, al servizio dei fratelli, alla collaborazione per la costruzione di un mondo sempre nuovo e migliore; capace, perciò, di farsi portatrice di stimoli positivi; la famiglia evangelizza con l’esempio di vita” (Preghiera dell’Angelus del 27 dicembre 2020).

 

È un richiamo insieme semplice e forte. Implicitamente, ci chiede di rinunciare al paganesimo strisciante in cui viviamo immersi, fra tanti “ismi” che soffocano i nostri cuori e intrappolano le nostre vite, mentre ci illudono di liberarle: consumismo, edonismo, individualismo… Credo basti enucleare alcuni concetti utilizzati dal Papa, come “speranza” “comunione”, “purezza”, “tenerezza” “volontà di Dio” e “apertura”, per sentire quanto siano lontani dalla prassi quotidiana delle nostre vite, dal nostro modo di essere famiglie, coppie, padri, madri, figli…

 

 

Ripartiamo dalla preghiera in famiglia

 

Un ultimo pensiero sul qui e l’ora che condividiamo.
Con la nostra presenza qui nel Santuario di Maria riconosciuta e onorata da secoli con il titolo di Regina del Monte Regale, intendiamo esprimere la fedeltà al Voto del pellegrinaggio formulato dai nostri antichi padri nel 1835 per la liberazione dal colera, e da noi rinnovato in modo solenne il 24 maggio dello scorso anno per invocare la fine della pandemia. Ma vogliamo soprattutto rinnovare la nostra volontà di essere credenti sinceri, autentici discepoli di Gesù.

Per questo, ai piedi della Vergine Maria, invochiamo forza e costanza nella preghiera, luce e speranza per il futuro.

 

Ma oggi è anche la solennità dell’Ascensione, in cui contempliamo uno dei misteri gloriosi della vita di Gesù, che sale al cielo e siede alla destra del Padre, come affermiamo nel Credo.

Mi pare bello sottolineare ciò che la liturgia rimarca: il Signore Gesù che sale al cielo non ci abbandona. Egli resta presente, vivo, in mezzo a noi nella sua Chiesa, e può davvero essere il centro di quella rinascita cristiana che auspicavo poco fa. Non solo: dopo l’Ascensione, gli apostoli fanno ritorno a Gerusalemme, e stanno raccolti in preghiera nel Cenacolo, insieme con Maria, la Madre di Gesù, in attesa dello Spirito Santo nella Pentecoste.

 

Forse, il punto di partenza, come fu la preghiera per la Chiesa nascente, dovrebbe esserlo anche nella nostra, e nelle nostre famiglie. Gesto semplice ma immenso, la preghiera davvero rimetterebbe il Signore al centro, non a parole - anche se la preghiera è soprattutto parola -  ma con la concretezza che hanno il tempo destinato a Dio, il cuore orientato a Lui e una ritualità famigliare, una testimonianza, che certamente lascerebbe il segno in ciascuno dei partecipanti, soprattutto i figli.

 

Lo voglio sperare e augurare alle nostre famiglie. Chiediamolo insieme come grazia.

La grazia più grande che potremmo chiedere.

+ Egidio, vescovo

 

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