Omelie per il Vespro inizio anno pastorale
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1. I SEGNI DELLA RIPRESA

«Il primo sentimento che mi piace sottolineare è la gioia di essere qui, di ritrovarsi e di ricominciare ancora una volta – ha esordito il vescovo –. Per me è la quarta volta con voi. Stasera, ritroviamo la bellezza dello stare insieme tra le diverse componenti del popolo di Dio (laici, diaconi, consacrati, presbiteri, vescovo; e poi catechisti e animatori, ministri straordinari della comunione, membri dei Consigli parrocchiali e diocesani) e tra persone di diverse età. Tutti insieme a pregare, perché il punto di partenza per il credente non può che essere la preghiera, la ricerca di Dio, il colloquio con Dio, che, secondo l’immagine del salmo, è l’unica risorsa, capace di evitare che “i costruttori fatichino invano e invano vegli il custode” (salmo 126). Ricordiamolo questa sera e ricordiamolo sempre: tutte le “case” che costruiamo insieme devono nascere sulle fondamenta della preghiera e in essa trovare il loro progetto. Sono davvero tanti i segni della ripresa, nella società e nella Chiesa. I nostri ragazzi e i nostri giovani hanno ricominciato finalmente la scuola e ricominceranno l’università in presenza, e noi siamo contenti, nella certezza che anche questo tipo di attività trarrà giovamento dalla ritrovata normalità, dal ritrovato ordine. Vado con la mente, poi, alle tante iniziative di questa estate. E le voglio ricordare perché ognuna di esse dice qualcosa di positivo, di incoraggiante. Quanto alla pastorale giovanile, la ripresa dei campi scuola (meno frequentati che in passato, ma proprio per questo vissuti più intensamente da chi vi ha aderito). Grazie di cuore a chi ha avuto il coraggio di proporli e a chi ha partecipato. Quanto alla liturgia: oltre alla Messa domenicale, penso in particolare alle tante celebrazioni nelle cappelle che hanno visto un’ampia partecipazione. Sono appuntamenti importanti e da valorizzare, facendone momenti di evangelizzazione che la gente senta, che ridiano vita a luoghi di culto e a borgate. Anche qui, come a scuola, l’elemento umano torna a brillare nel recupero della dimensione comunitaria. Il che vale pure per le numerose celebrazioni della Cresima, che hanno riattivato la catechesi di preparazione in presenza. Quanto alla carità: attraverso la Caritas diocesana e le Caritas parrocchiali le nostre comunità non hanno mai smesso il loro servizio, discreto, ma provvidenziale ai più svantaggiati. Infine, non posso dimenticare la novena della Madonna in questo Santuario, molto partecipata, con la processione conclusiva e la celebrazione dell’8 settembre, nonché il pellegrinaggio regionale delle famiglie dell’11 e l’ordinazione di padre Andrea, dell’Oratorio di San Filippo, il 12 settembre, evento che ci ha ricordato il tema della chiamata e della risposta alla vocazione: sarebbe bello che, nel mondo che si ritrova e prova a ripartire, anche l’aspetto vocazionale recuperasse nitidezza e attraversasse una nuova primavera. Preghiamo anche per questo. I segni di ripresa, incoraggianti, dunque non mancano. Resta però ancora molto da fare, soprattutto nell’ottica di una rinnovata evangelizzazione che tenda a purificare e rendere più autentica la fede, per contrastare il crescente clima di scristianizzazione, che appare evidente nell’indifferenza degli adulti e nell’ignoranza religiosa delle nuove generazioni, che non conoscono più non solo le verità della fede, ma neppure il lessico minimale per capire i riferimenti più semplici. Quanto ai primi, basti considerare che in questi giorni si parla già del grande successo per la raccolta firme circa proposte di leggi per l’eutanasia e la legalizzazione della cannabis. Ebbene, è facile immaginare che parecchi che si dicono “credenti” abbiano aderito, senza porsi troppi interrogativi, a dimostrazione di quanto siano confusi i confini della morale cristiana in molti cuori e quanto miopi siano gli sguardi nel valutare le conseguenze di determinate scelte. Quanto all’ignoranza religiosa delle nuove generazioni, mi limito a un aneddoto: in una classe di prima liceo, nessuno sapeva che cosa fosse un’omelia, circa metà sapeva che cosa sia una “predica” e uno di quelli che non lo sapevano credeva però che nel Vangelo si racconti la storia della Chiesa. Tutto ciò, naturalmente, evidenzia luci e ombre del nostro vissuto, e al contempo ci richiama a un lavoro serio di annuncio del Vangelo: non c’è tempo da perdere rincorrendo problemi inutili, e soprattutto c’è bisogno di concordia per lavorare insieme. Il rischio è davvero una desertificazione religiosa, la perdita di un’identità e di intere generazioni, la fine del cristianesimo o la sua sopravvivenza in moderne catacombe». 

2. ATTEGGIAMENTI INTERIORI

«La Parola del Signore che abbiamo ascoltato ci offre le coordinate da cui partire e ci suggerisce alcuni atteggiamenti interiori fondamentali che toccano tutti. Credo valga la pena sottolineare alcune parole o espressioni proposte da San Paolo – ha aggiunto mons. Miragoli –. Per esempio, il sentimento di “misericordia” e di “sopportazione” reciproca. È naturalmente un aspetto che tocca i nostri rapporti interpersonali, aspetto delicatissimo in ogni collettività e tanto più in quella cristiana. Che Paolo parli di “sopportazione” dà come scontato che tutti possiamo risultare in qualche modo molesti agli altri, e rendere loro necessaria la capacità di tollerare. Ma la “misericordia” è la soluzione, l’atteggiamento di base che consente a tutti di sopportare tutti: sentimento di pietà che induce a soccorrere e a perdonare, essa ci mette in guardia da quell’insidioso amor proprio che giudica, che disprezza, che fa insuperbire. Tutte povertà che disgregano la comunità, che sdruciscono il tessuto umano di cui siamo le fibre, che erigono barriere e scavano solchi. Una Chiesa misericordiosa, ovvero fatta da uomini e donne misericordiose, invece, è una Chiesa unita, coesa, che non ignora i limiti di ciascuno ma tutti li abbraccia e risolve nella comune adesione a Cristo. Che è poi ciò che San Paolo addita come necessario nel finale del passo che abbiamo ascoltato, quando scrive che la Parola del Signore deve dimorare abbondantemente fra noi, e che le nostre parole e le nostre opere si devono compiere “nel nome del Signore”. Non nel nostro, e tanto meno nel nome delle nostre presunte superiorità – tutte da dimostrare - sugli altri».

3. TRE LINEE DI PRIORITÀ PER IL NUOVO ANNO

«Siamo una piccola realtà nel contesto della grande Chiesa, ma a noi è chiesto di essere comunque tralci innestati nella vite per produrre frutto – ha continuato il vescovo Egidio –. La vite è Cristo, indubbiamente, ma la vite è anche l’immagine della Chiesa. È nostro preciso dovere di camminare al passo con la Chiesa, la Chiesa guidata da papa Francesco, che ci propone innanzitutto l’Anno della famiglia».

A - L’attenzione alla famiglia

«Le prospettive per questa attenzione ci sono indicate da papa Francesco nel documento “Amoris laetitia”, documento da valorizzare con maggiore impegno di quanto non se ne sia profuso fin qui: nella predicazione, nella catechesi, e soprattutto nella vicinanza e nell’accompagnamento concreto delle famiglie, specie quelle in difficoltà o che vivono il disagio della divisione – ha spiegato il vescovo –. Già l’Ufficio per la pastorale famigliare si è attivato per una programmazione che tenti di raggiungere popolarmente il maggior numero di famiglie attraverso proposte semplici e realizzabili da tutti. Lo slogan riassuntivo sarà “Do (diamo) una mano all’amore” e intende evidenziare questo: è bello esaltare “la gioia dell’amore”, ma se l’amore non è sostenuto e corroborato rischia di morire o di languire. Invito pertanto le comunità parrocchiali e i sacerdoti a considerare e sostenere le iniziative che verranno proposte; invito le Zone pastorali con le rispettive équipe a curare nel migliore dei modi i “corsi di preparazione alla vita e alla missione di sposi” destinati ai fidanzati, che con amore e coraggio affrontano una delle scelte più insidiate dalla mentalità corrente. Sappiamo come sia crollato il numero dei matrimoni, sia in chiesa sia i matrimoni civili. Da una parte molti credenti non colgono la specificità del sacramento che benedice e santifica la loro unione; dall’altra molti neppure sanno più comprendere la valenza sociale della loro unione, considerando inutile il matrimonio, riducendolo a cosa privata. Senza poi contare la crescente fragilità dell’istituto matrimoniale anche una volta che sia stato scelto». 

B - Il tema della sinodalità

«Papa Francesco ha voluto caratterizzare questo tempo che ci sta davanti come tempo di sinodalità. Sarà il tempo che scandisce le tappe di avvicinamento al Sinodo dei vescovi del 2023 – ha proseguito il vescovo –, ma dovrà essere uno stile da acquisire sempre di più. Sinodalità fa riferimento a “sinodo” e “sinodo” significa “camminare insieme”. Non entriamo ora nei dettagli, ma cogliamo solo l’ispirazione che questo lessico suggerisce. Così papa Francesco, proprio ieri, ha descritto ai suoi diocesani, i fedeli di Roma, cosa intende. “Come sapete sta per iniziare un ‘processo sinodale’, un cammino in cui tutta la Chiesa si trova impegnata intorno al tema: ‘Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione’: tre pilastri. Sono previste tre fasi, che si svolgeranno tra ottobre 2021 e ottobre 2023. Questo itinerario è stato pensato come ‘dinamismo di ascolto reciproco’, voglio sottolineare questo: un dinamismo di ascolto reciproco, condotto a tutti i livelli di Chiesa, coinvolgendo tutto il popolo di Dio. […] I vescovi devono ascoltarsi, i preti devono ascoltarsi, i religiosi devono ascoltarsi, i laici devono ascoltarsi. E poi, inter-ascoltarsi tutti. Ascoltarsi; parlarsi e ascoltarsi. Non si tratta di raccogliere opinioni, no. Non è un’inchiesta, questa; ma si tratta di ascoltare lo Spirito Santo, come troviamo nel libro dell’Apocalisse: ‘Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese’ (2,7). Avere orecchi, ascoltare, è il primo impegno. Si tratta di sentire la voce di Dio, cogliere la sua presenza, intercettare il suo passaggio e soffio di vita” (Papa Francesco, Discorso ai fedeli della diocesi di Roma, 18 settembre 2021). E allora comprendiamo cosa non è sinodalità, per sfatare alcuni equivoci, anche perché è facile immaginare come nei prossimi mesi il termine sarà sottoposto a tensioni notevoli. Sinodalità non è uno slogan stagionale; non è neppure un contenuto. È, piuttosto, un metodo: non per democratizzare la Chiesa, ma per valorizzarne la pluralità, la ricchezza, le diverse componenti. Per dare loro voce e giungere, attraverso il cammino di discernimento, alla meta di una sintesi ponderata e ragionata. Lo stile sinodale domanda l’umiltà di “considerare gli altri superiori a se stessi” (Fil. 2,3), e perciò degni di attenzione e ascolto. In positivo, possiamo dire che la sinodalità è la fatica di contribuire insieme alla decisione, è la valorizzazione dei carismi, è la Chiesa che etimologicamente si fa assemblea e cerca nella coralità la via migliore per seguire il suo Maestro. Uso le parole confidenziali di papa Francesco: senza preghiera, senza umile porsi in ascolto dello Spirito Santo non c’è sinodalità. Inutile in questo periodo fare azzardi, ipotizzare cammini cervellotici: restiamo in attesa di quanto l’Assemblea straordinaria dei vescovi nel prossimo novembre indicherà come cammino concreto per la Chiesa italiana. E tuttavia nel frattempo valorizziamo gli strumenti che abbiamo, o che dovremmo avere. A livello parrocchiale abbiamo – o dovremmo avere – il Consiglio per gli affari economici e il Consiglio pastorale. Quanto al primo già sono state date linee per la sua costituzione e il suo funzionamento, tenendo conto delle particolarità delle nostre parrocchie, sovente piccole. Quanto al secondo, il proposito è di percorrere una strada analoga: un nuovo Statuto per la composizione e il funzionamento di Consigli pastorali parrocchiali (per le realtà più grandi) o interparrocchiali (per le realtà più piccole), con una data uniforme di ripartenza per i nuovi organismi e, perché no?, con momenti di formazione. Dopodiché, lo sappiamo tutti, ciò che conta è il reale funzionamento di tali organismi, che non devono essere solo di facciata, ma luoghi essenziali di confronto».

C - La visita pastorale 

«Lo scorso anno, nella analoga celebrazione, avevo espresso il desiderio – dopo essere comunque stato più volte in tutte le diverse comunità – di iniziare in questo autunno la Visita pastorale all’intera diocesi. “Visita pastorale” intesa nel senso tecnico, come precisato dalla normativa e dalla tradizione. Mi permetto di ripresentare il testo fondamentale tratto dal Direttorio per i vescovi: “La Visita pastorale è una delle forme, collaudate dall’esperienza dei secoli, con cui il vescovo mantiene contatti personali con il clero e con gli altri membri del Popolo di Dio. È occasione per ravvivare le energie degli operai evangelici, […] per richiamare tutti i fedeli al rinnovamento della propria vita cristiana e ad un’azione apostolica più intensa […]. La Visita pastorale è pertanto un’azione apostolica che il vescovo deve compiere animato da carità pastorale che lo manifesta concretamente quale principio e fondamento visibile dell’unità nella Chiesa particolare (LG 23). Per le comunità e le istituzioni che la ricevono, la Visita è un evento di grazia che riflette in qualche misura quella specialissima visita con la quale il ‘supremo pastore’ e guardiano delle nostre anime (cf. 1Pt 2,25), Gesù Cristo, ha visitato e redento il suo popolo” (Direttorio per i vescovi ‘Apostolorum Successores’, n. 221). L’incertezza della situazione, a motivo del Covid, ha suggerito di soprassedere. Ora, vi sono le condizioni per cominciare a pensare seriamente a una programmazione. Anzi: alle finalità classiche della Visita pastorale, il tema della “sinodalità dal basso”, indicato da papa Francesco, aggiunge un’ulteriore opportunità. Essa vorrà essere davvero un’occasione di verifica e ascolto delle diverse realtà della parrocchia e della Zona; ascolto della comunità dei credenti, ovviamente, ma anche delle realtà laiche, come, ad esempio, le amministrazioni comunali e le realtà lavorative del territorio».

LA FATICA E LA GIOIA DI EDUCARE ALLA FEDE

«Concludendo vorrei salutare e incoraggiare in modo particolare i catechisti e gli animatori che stasera riceveranno il mandato – le parole finali del vescovo –. So quanto sia impegnativo assumere un compito, viverlo con costanza e con una testimonianza coerente. So quanto sia stato impegnativo in questi mesi del Covid. E tanti, purtroppo, …troppi, se ne sono andati, hanno desistito. Ma a voi che avete avuto il coraggio di restare dico: ne vale la pena! Le gratificazioni sono poche, a volte, i frutti sembrano scarsi o non quantificabili, ma educare alla fede, aiutare a crescere, è un’avventura bella, anche se, ormai, poco popolare, nascosta dal luccichio di tante alternative che vogliono interessatamente fagocitare il tempo libero dei giovani. Ma resta vero che nessun tempo libero è speso meglio di quello che aiuta gli altri a crescere, a coltivare l’interiorità, ad ascoltare la voce di Dio, a credere al bello autentico della vita e a saperlo riconoscere. Sono semi piccoli, ma destinati a portare frutto, per sé e per tanti altri. Perciò, Grazie a nome della nostra Chiesa, e buon lavoro davvero a tutte le giovani e a tutti i giovani che hanno accettato di vivere questa sfida. Il Signore vi benedica».

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