Omelia per la professione perpetua di suor Maria Ralitza Disco Casa Betania in Vicoforte
Descrizione

Vicoforte, 20 Maggio 2023
Per la seconda volta in breve tempo, ci ritroviamo per accompagnare nella preghiera una consacrazione femminile alla vita consacrata. Nella festa dell'Annunciazione, lo scorso marzo, Valentina è entrata nell'Ordo Virginum; oggi Maria Ralitza emette la professione perpetua nella famiglia religiosa delle Figlie del Cuore Misericordioso di Gesù, più note come Suore della "Piccola Betania". Ma non posso dimenticare che lo scorso anno altre due giovani, Suor Veronica e Suor Monica hanno emesso la professione perpetua nella Congregazione delle Suore Missionarie della Passione. È un dato interessante e che fan ben sperare: la condizione femminile, oggi, è sottoposta a tensioni e rivendicazioni di ogni tipo; anche a stravolgimenti e forzature, temo. La scelta per Cristo di quattro giovani donne, una scelta che pare quasi inconciliabile con la modernità, può farci riflettere, e darci coraggio: il pensiero dominante non esercita un dominio assoluto. Lo Spirito soffia dove vuole, ancora.
Quindi, complessivamente quattro giovani donne, che si consacrano a Dio in tre realtà religiose diverse tra di loro; unica è l'ispirazione divina, diversi sono i doni di Grazia e i carismi che lo Spirito dona alla Chiesa. Se sostanzialmente identica per tutte è la consacrazione a Dio, diversa è la modalità in cui essa si esprime nella Chiesa. Questa diversità è il carisma stesso delle singole famiglie religiose, che le connota nella testimonianza e nel servizio.
Ciò premesso, penso non sia inutile chiederci: da dove nasce e che volto ha la famiglia religiosa della "Piccola Betania", "Figlie del Cuore Misericordioso di Gesù" a cui da oggi appartiene in maniera definitiva suor Maria Ralitza? Qual è la spiritualità che sempre più cercherà di interiorizzare?
L'ispirazione di don Ferreri e Germana Resch
Innanzitutto ricordiamo come è nato l'Istituto. La piccola Betania nasce per ispirazione di don Stefano Ferreri e suor Germana Resch, due anime belle, che la Provvidenza di Dio ha fatto incontrare.
Don Ferreri, sacerdote monregalese del Novecento, appena ordinato sognava di andare missionario in terre lontane, oltre oceano, ma l’ubbidienza ai superiori lo portò in Svizzera, missionario tra i numerosi italiani emigrati a Basilea.
Lì conobbe Germana Resch, una giovane che aveva il desiderio di consacrarsi al Signore nella vita contemplativa. Divenne il suo direttore spirituale e conobbe la profondità della sua fede, le sue esperienze spirituali, le sue gravi sofferenze a motivo della salute fragile. Germana non poté entrare nella clausura, ma seguì don Ferreri a Fiamenga.
Pare evidente il disegno di Dio in questo percorso, che vide negli anni ‘30 del secolo scorso il sorgere di una nuova famiglia religiosa. Germana Resch fu la prima madre dell’istituto. All’inizio le suore erano solo cinque, ma poi crebbe il loro numero. Avevano l’approvazione e la benedizione del vescovo Mons. Ressia e vivevano, come oggi, la loro consacrazione fatta di contemplazione e di apostolato. Le suore di Betania hanno svolto nella nostra diocesi un servizio generoso accanto ai sacerdoti, nella catechesi, in mezzo ai bambini e ai giovani. Don Ferreri è stato parroco zelante e ricco di iniziative a Fiamenga dal 1920 fino alla morte nel 1946. Germana Resch lo aveva preceduto nella morte nel 1934.
Lo stile di vita delle suore della Piccola Betania è conforme al Decreto del Concilio “Perfectae caritatis”, che richiede agli istituti religiosi di “osservare fedelmente lo spirito e le finalità dei propri fondatori” (n. 2 b), di “circondare di riverenza e affetto i pastori” (n. 6) e realizzano quanto il Concilio richiede circa l’armonia tra la vita attiva e contemplativa: “tutta la vita religiosa dei membri sia compenetrata di spirito apostolico, e tutta l’azione apostolica sia animata da spirito religioso” (n. 8).
In questa occasione non mi soffermerò sull'elemento più sostanziale e anche più comune ad ogni forma di consacrazione, ovvero la professione dei consigli evangelici di povertà, castità e obbedienza.
Ci soffermiamo, invece, su due parole chiave che costituiscono le coordinate dell'Istituto Piccola Betania e della sua spiritualità. Sono le coordinate che non andrebbero mai smarrite, anzi ravvivate continuamente e verificate sia individualmente che comunitariamente.
 
Betania, famiglia ideale
Betania. Cos'era Betania, e cosa vuole essere la Piccola Betania?
Betania è nome del Vangelo a noi famigliare, ma lo vogliamo dire con le parole di don Stefano Ferreri: "Gesù spinto dalla fatica e dal dolore a lui procurato dalla congiura e dal tradimento, soleva recarsi a sera nella casa dei suoi amici a Betania ove la sua umanità trovava riposo. Qui si sentiva amato". "A Piccola Betania Gesù vuole trovare anime che rappresentino al vivo Marta, Maria e Lazzaro". In una parola: i fondatori intesero far rivivere nell'Istituto il clima spirituale della Betania evangelica, che concretamente significa accoglienza, amicizia, cordialità e fraternità, non solo all’interno, tra i membri dell’Istituto, ma soprattutto nei confronti di chi bussa e varca la sua porta.
Tutto questo è così tradotto nelle Costituzioni, ovvero nella Regola di Vita dell'Istituto:
"Il carisma dell'Istituto consiste nel creare un ambiente in cui riviva lo spirito di Betania della Palestina, perciò la Figlia del Cuore Misericordioso di Gesù deve modellare se stessa sugli esempi di vita contemplativa e attiva di Maria, Marta, Lazzaro" (n.3).
"La Piccola Betania vuole essere espressione di questa ideale famiglia, i cui membri si studiano di far piacere al maestro divino riconosciuto in ogni fratello. Il nostro servizio al Cristo mistico è fatto di accoglienza e amore, di annuncio evangelico, con una donazione in semplicità e senza riserve. Esso viene alimentato dalla meditazione costante della Parola di Dio e dall'incontro eucaristico" (n.4).
Cuore Misericordioso
"Figlie del Cuore Misericordioso" è l'appellativo con il quale vengono chiamate le appartenenti alla Piccola Betania. Infatti l'aspetto dell'amore del Cristo sottolineato da don Ferrerri è la Misericordia: "La Piccola Betania sia il trofeo della misericordia infinita di Dio".
Chiamando le sue suore Figlie del Cuore Misericordioso di Gesù, recitano le Costituioni, don Ferreri volle "indicare che la Piccola Betania non solo fu voluta dall'amore Misericordioso di Cristo, ma che è nostra particolare missione far conoscere, testimoniare e implorare la sua illuminata misericordia su tutti gli uomini" (n.9).
Risaltano due verbi, due impegni: implorare e testimoniare la misericordia di Dio. Un bel programma di vita, che può trovare alimento anche in alcuni testi significativi del magistero, come ad esempio quelli proposti alla Chiesa da papa Francesco in occasione del Giubileo della misericordia.
Le coordinate di ogni vocazione
Le tre letture ascoltate sono altrettanti pensieri logici e sembrano rispondere ad alcune difficoltà o obiezioni che potrebbero sorgere davanti alla scelta di una giovane che nel 2023 opta per una vita alternativa a quella comune dei giovani, la vita consacrata. Possiamo riassumere attorno a tre interrogativi:
Come nasce una vocazione? Cosa comporta? Che ne abbiamo in cambio?
Il misterioso inizio
La prima lettura (Ger 1,4-9) tramite l'autobiografia di Geremia, descrive il misterioso inizio di ogni chiamata, quello che si consuma nel silenzio del cuore: la sua origine divina ovvero la voce interiore, il turbamento spontaneo e un po' logorante che ne può derivare, ma alleviato dall'assicurazione della Grazia divina.
La dinamica è bellissima, anche se chiede occhi di fede per essere colta.
Dice il Signore: "Prima di formarti nel grembo materno ti ho conosciuto, e prima che uscissi alla luce ti ho consacrato”. Sono parole di una importanza decisiva, per chi vuole credere: c’è un’iniziativa di Dio sull’uomo che data a prima della nostra nascita. Prima che siamo giunti alla vita, Egli ci ha conosciuto e consacrato: Dio è nella nostra carne e nel nostro cuore, nella nostra struttura interiore. Nasciamo consacrati a una vocazione che egli, conoscendoci, ha impresso nella nostra persona. Sbigottito e incredulo, come chiunque di noi, Geremia balbetta la sua risposta spaventata: “Ahimè, Signore, non so parlare, sono giovane”. L’inadeguatezza, l’età, le ovvie scuse di chi deve scoprire in sé e su di sé un progetto, e prova a sottrarsi, perché ne ha paura, perché quel progetto dà un senso alla sua vita ma anche la orienta, la porta a essere una cosa e quella soltanto. Il Signore, che è il Signore della vita, allora chiude il discorso così: “Non avere paura, perché io sono con te”. E pone in bocca a Geremia le sue parole. Come dire: se consegniamo a Dio la nostra vita, se ci facciamo suoi profeti (cioè parliamo in vece sua), non perdiamo la nostra vita, ma la salviamo, proprio realizzando il suo progetto originario, che sta prima di tutto, che ha pensato chi ci conosceva già.
L’adesione totale
San Paolo nella seconda lettura (Fil 3,8-14) dà testimonianza dei motivi della sua scelta e con questo parla del secondo passo da compiere: la scelta di Cristo, il desiderio di conoscere Lui e di conformarsi a Lui. Con la forza consueta delle sue immagini, dice di essere arrivato a reputare “tutto (…) una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù”, per il quale ha lasciato perdere tutto il resto, e, anzi, lo considera “come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo”. C’è, in tutto ciò, il senso di un’adesione totale, dell’assunzione di un punto di vista nuovo, dell’accettazione, appunto, di un progetto che si prende tutto e tutto fa leggere in modo nuovo. Tante scelte umane, in fondo, ci cambiano solo parzialmente e ci lasciano parzialmente identici a prima, cioè, anche, insoddisfatti. Intendo scelte professionali, affettive, di luoghi e persone. Paolo ci parla invece di una scelta che, proprio in quanto rispondente a un progetto totalizzante e fondante, ci cambia radicalmente, fa di noi persone nuove, che uno sguardo nuovo maturano sul mondo.

Una vita piena
Nel Vangelo (Mc 10,28-30) i discepoli danno voce a un altro interrogativo: Ne vale la pena?
La risposta di Gesù ha un nettezza che pare la stessa del Signore quando parla a Geremia: sì, ne vale la pena, perché “non c'è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna”. In fondo, è, in positivo, il risultato di quel ribaltamento di tutto cui alludeva San Paolo. Nella vita nuova con Cristo, amando Cristo e in Cristo i fratelli, riceviamo tantissimo. Via la tiepida spazzatura delle vite mal spese in nome di idoli, largo all’intensità di vita del cristiano che testimonia e ama. Avrà tutto centuplicato, in quella vita autentica e rispondente al progetto di Dio su di lui; avrà anche la persecuzione, certo. Ma alla fine approderà alla vita eterna, iniziata già quaggiù nella vita autentica per Cristo e con Cristo.
Anche tu, Maria Ralitza, avrai sperimentato tutto questo: il maturare della chiamata; la risposta di coraggio, libertà e gioia, il senso di una vita che si realizza in pienezza. Possano, da oggi, i tuoi giorni confermare tutto ciò. Buon cammino.
 
+ Egidio, vescovo

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