Omelia per la celebrazione di apertura dell’anno pastorale
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Cattedrale, 18 settembre 2022

È bello ripartire dalla cattedrale

In un batter d'occhio l'estate è finita e ancora una volta tutto riprende. È ora di tornare a procedere nel nostro cammino, a compiere i doveri che costituiscono la fatica e la bellezza del vivere

È bello quindi ritrovarci per ricominciare. Oltretutto, in questo caso la pausa è stata di due anni, perché dopo due anni ritorniamo in Cattedrale per questo inizio. Il ritrovarsi in santuario è stato a suo modo significativo (oltre che utile, questione di spazi e di distanziamento): nella difficoltà la "vicinanza" della Madonna ha anche avuto un valore simbolico e ha dato conforto.  Ma ora ritorniamo in cattedrale, luogo a sua volta simbolico, chiesa madre, segno di unità tramite il vescovo.

 

Ogni anno una tappa

Da qui dunque ripartiamo. Ogni inizio di anno pastorale ripropone l'interrogativo di quale meta raggiungere, seguendo quali percorsi. Non si tratta di inventare cose nuove: non è certo l’ansia di novità a muoverci. Piuttosto, credo serva proporre sottolineature di capitoli fondamentali, riaffermare la centralità di alcune condizioni e di alcune prassi.

La sfida è sempre la stessa: come coniugare la vita della Chiesa con la nostra vita; il nostro cammino di singoli fedeli e di Chiesa locale entro il cammino della grande Chiesa cattolica, cioè universale

 

Il cammino della Chiesa italiana: primo anno

Come ormai sappiamo, nel maggio 2021 le chiese in Italia si sono messe in cammino avviando un percorso sinodale, un cammino spirituale di ascolto reciproco, della durata di due anni. Prestare orecchio "a ciò che lo Spirito dice alle Chiese" (Ap. 2.3) è stato il principio fondativo, che ha orientato il cammino.

Nell’anno appena trascorso, in tutte le diocesi si sono formati gruppi di ascolto, con 400 referenti diocesani che hanno coordinato il lavoro. Ogni diocesi nel mese di aprile ha trasmesso una sintesi di quanto emerso. Ne sono state tratte alcune richieste: crescere nello stile sinodale e nella cura delle relazioni, approfondire e integrare il metodo della conversazione spirituale, continuare l'ascolto anche dei "mondi” meno coinvolti durante il primo anno, promuovere la corresponsabilità di tutti, snellire le strutture per un annuncio più efficace del vangelo.

 

I cantieri di Betania: secondo anno

Le parole più ricorrenti sono state: cammino, ascolto, ospitalità, casa, relazioni, accompagnamento, prossimità, condivisione. Da qui è nata l'idea della Chiesa come "casa di Betania" aperta a tutti, di cui ci ha parlato il brano evangelico ascoltato.

A partire da questa icona si è poi deciso di focalizzare l'ascolto del secondo anno lungo alcune traiettorie o "cantieri sinodali".

Quella del cantiere è un'immagine che indica la necessità di un lavoro che duri nel tempo e che costruisca. Opportunamente, la Chiesa italiana suggerisce di “adattare liberamente” a ciascuna realtà territoriale l’operato, sicché ci ritorneremo a suo tempo.

Certo, si potrebbe obiettare che parole come “cammino”, “ascolto” o “condivisione" non suonano particolarmente nuove, dentro il gergo del cattolicesimo post-conciliare; ma, come si diceva, più che inseguire concetti inediti, credo che in questo momento serva ridare freschezza e profondità a concetti noti che rischiano di apparire logori, di essere affrontati con sufficienza.

 

Betania ci indica le vera priorità  (Luca, 10,38-42)

Per questa serata d’inizio, restiamo a Betania: tentiamo una prima lettura di questa pagina evangelica, così da cogliere dalla parola del Vangelo alcune  coordinate per il nuovo anno pastorale. L’evangelista descrive questa scena:

“Maria, seduta ai piedi di Gesù ascoltava la sua parola. Marta, invece era distolta per i molti servizi”.

Poi, dice che, alle lamentele di Marta, unica impegnata nel servizio concreto, Gesù replica:

“Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore che non le sarà tolta”.

 

Il Signore apprezza l’opera di Marta, ma mette in evidenza il pericolo di un affanno e di un’agitazione che dimenticano “per Chi” si fa tutto ciò che si fa.
Immaginiamo Marta ospite e casalinga perfetta. Ma comprendiamo che rischia di lavorare concentrata sulla realtà materiale, senza ascoltare Gesù.

E non è questo il pericolo che corriamo tutti, sacerdoti, consacrati e fedeli?

Non è certamente un invito al disarmo o alla pigrizia, tutt’altro: ovvio che dobbiamo perseverare in tutte le nostre attività, per così dire, concrete.

Chiediamoci però anche quali frutti hanno portato tante nostre iniziative. Un computo onesto non può non allarmarci, almeno un pochino: oratorio, campeggi, estate ragazzi, tanti eventi e tanti animatori. Ma poi? Poi ci ritroviamo con le chiese vuote, senza bisogno dei sacramenti, senza vocazioni, senza ordinazioni sacerdotali e senza matrimoni.

Come se al di sotto della superficie dell’agire in alcuni contesti non si radicasse una fede profonda, quella che determina scelte e stili di vita.

 

Per non correre invano

E allora pongo  a me e a voi la domanda: forse anche noi ci affanniamo con lodevole impegno ma perdendo di vista ciò che è essenziale?

La pagina del Vangelo ci richiama all’importanza di tenere fisso lo sguardo sul Signore, prima, durante e dopo ogni opera.

“Ora et labora”, diceva san Benedetto, sulle cui orme alcuni di voi hanno camminato in questa estate, ma l’invito a pregare stava avanti a quello relativo al lavoro. Il significato è chiaro: pur nelle urgenze del tempo e pur dentro le necessità pratiche che comportano la fatica e il lavoro, è necessario porsi davanti al Signore, guardarlo, ascoltarlo.

“Guardate a lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti”, recita il salmo 34.

Significa certamente che pregare dà gioia e chiarezza d’intenti alle nostre vite; le purifica diradandone nubi e ombre; ci evita di essere operai assorbiti dalla sola pratica. Privi di riferimenti ideali. Per ciò, in questo inizio d’anno vorrei richiamare tutta la nostra Chiesa a una priorità: un atteggiamento di vitalità interiore e di preghiera, di ascolto della Parola del Vangelo. Va bene agire, va bene compiere opere, ma a patto che dietro ci sia la saldezza del riferimento ideale a Cristo.

 

Alcuni ambiti della preghiera e dell’ascolto

Perché l’indicazione non rimanga puramente astratta, vorrei indicare due ambiti decisivi per la sua attuazione.

 

Il primo, è la famiglia. Sappiamo quanto essa sia sotto attacco nella cultura contemporanea, e quali fragilità mostri. Eppure, proprio la famiglia potrebbe – anzi dovrebbe – tornare ad essere il luogo primo della educazione alla preghiera e da essa trarre forza. Pensate che crescita collettiva rappresenterebbe per genitori e figli, ogni mattina o ogni sera, pregare insieme, un poco usando il Vangelo, un poco usando le orazioni della tradizione, un poco dando voce al proprio intimo sentire. Credo che davvero significherebbe porre al centro della vita famigliare un lievito, una luce, una forza spirituale dal potenziale imprevedibile, capace di innescare dinamiche positive che forse neppure sappiamo immaginare con esattezza.

 

Il secondo è la catechesi, sulla quale vorrei spendere una parola: un itinerario di iniziazione cristiana non può prescindere dal far conoscere il Vangelo, e quindi Gesù, e dall’introdurre alla preghiera, insegnare a pregare. Se, come purtroppo accade, dopo otto anni di catechesi un ragazzo non conosce almeno alcune pagine e figure fondamentali del Vangelo, ignora il significato delle festività che non siano Natale e Pasqua e non sa recitare neppure le preghiere principali, abbiamo tutti perso tempo e mancato degli obiettivi essenziali. Accade spesso che nelle classi di scuola superiore risultino lettera morta riferimenti al Figliol prodigo, al Buon samaritano o alle stesse Marta e Maria; oppure, che non si sappia che cosa siano il Mercoledì delle Ceneri o la Pentecoste; oppure, ancora, che non tutti riescano ad arrivare decorosamente in fondo alla recita del Padre nostro. Sono fatti gravi, che raccontano di una mancanza dei rudimenti di cultura religiosa, i quali non possono non essere il punto di arrivo di un corso completo di catechesi, a meno che questa non voglia essere del tutto inutile e inefficace.

 

Laici capaci di guidare la preghiera della comunità

Un’ultima nota, sulla preghiera: è necessario che in ogni parrocchia alcuni laici imparino a guidarla, in assenza del sacerdote, perché l’assenza del sacerdote diverrà presto non una deprecata eccezione ma una dolorosa regola. Penso alla semplice recita del Rosario, fatta bene, senza fronzoli, invenzioni o aggiunte lasciate alla fantasia o alla sensibilità di chi lo intona; penso alla veglia funebre che precede il funerale, quando il sacerdote o il diacono non potranno essere presenti; penso alla recita delle Lodi o del Vespro o a qualche breve liturgia della Parola. L’Ufficio liturgico provvederà, in questo anno, a predisporre sussidi e incontri di formazione adeguati.

 

“Torniamo al gusto del pane”

Questa nostra serata si concluderà con un momento di adorazione. Essa ci rimanda – e in un certo senso di rende partecipi – del cammino di preparazione al Congresso Eucaristico nazionale che si tiene a Matera dal 22 al 25 settembre, a cui parteciperà anche una nostra delegazione anche con alcuni giovani, e che ha per tema: “Torniamo al gusto del pane”. Ovviamente il pane eucaristico.

Ma vorrebbe essere anche un primo atto di sosta davanti a Gesù, proprio come ha fatto Maria di Betania. Un gesto che ci auguriamo sia il primo di tanti altri collocati lungo questo anno pastorale, per non smarrire la strada, per non dimenticarci “per chi” fatichiamo e ci impegniamo, per attingere forza e non scoraggiarci. Dalla casa di Betania, impariamo a essere Maria prima di Marta, perché solo così saremo Marta con piena consapevolezza delle ragioni del nostro agire.

 

+ Egidio, vescovo

 

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