Omelia del vescovo Egidio per la Messa della Seconda Domenica di Pasqua
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OTTO GIORNI DOPO

19 aprile 2020 – Santuario di Vicoforte

 

Tempo pasquale, tempo di Sacramenti

Secondo l’agenda in questa domenica avrei dovuto iniziare la celebrazione delle Cresime nelle diverse parrocchie, momento significativo per tanti ragazzi e ragazze, per famigliari e amici, per le comunità di appartenenza, e anche per me. Una celebrazione era in programma ieri sera e tre oggi: a Beinette, a Benevagienna, a S. Anna Avagnina e al Ferrone.

Sarebbe stata per me una gioia, passare di parrocchia in parrocchia, celebrare, incontrare i cresimandi e le loro famiglie. Non vi nascondo come questo sia uno dei momenti più belli e attesi del mio ministero.

Tutto, come sapete, è stato rimandato, tanto le Cresime come le Prime Comunioni, altro appuntamento bellissimo della primavera cristiana.

Il coronavirus ha intaccato anche i nostri programmi, ovviamente! Ma guai se il coronavirus  - o qualche altra disavventura della vita - intaccasse il nostro entusiasmo, la nostra fede. Guai se un rinvio raffreddasse il nostro impegno, la nostra preghiera, il nostro sentirci comunità.

Io in questa domenica vorrei, pertanto, avere un pensiero particolare e una preghiera speciale per tutti i ragazzi e le ragazze in attesa della cresima e della prima comunione. Li penso, li ricordo e li affido al Signore.

L’importanza dei Sacramenti nella vita dei nostri ragazzi

Notavo questo: quando si elencano le realtà della vita cui il coronavirus ci ha costretto a rinunciare, si citano lo sport, i contatti interpersonali, il lavoro, la scuola, alcune mondanità. Nessuno, mai, ricorda i Sacramenti; e nessuno mai pensa alle centinaia di ragazze e ragazzi che si stavano preparando con tanto impegno per riceverli e che dovranno attendere forse un anno.
Ma se accanto alla crescita del fisico e della mente è importante anche quella dello spirito, possiamo guardare a questo rinvio almeno con un poco di rincrescimento. Si tratta di un ritardo non da poco, per chi crede: ritardo nell’incontro con Gesù Pane di Vita (Comunione) e della piena assunzione del proprio essere cristiani (Cresima).

Mi consola, l’idea che l’esistenza sarà ancora lunga, per le nostre ragazze e i nostri ragazzi, e che anche Gesù, nella sua vita, ha dovuto e saputo attendere; mi piace pensare che questa attesa permetterà un più di desiderio e di preparazione.
Verranno certamente tempi migliori anche per i comunicandi e cresimandi di questo difficile inizio dell’anno 2020, e allora sarà doppia festa.

Intanto, spero che sacerdoti e catechisti possano portare loro il ricordo e il saluto del vescovo, nell’attesa di condividere con tutti la gioia dell’incontro, della preghiera comune e della amministrazione dei Sacramenti.

La Domenica “in Albis”

Questa domenica chiude l'ottava di Pasqua, che la Chiesa ha vissuto come un unico grande giorno, un giorno che quasi non ha tramonto, una settimana vissuta nella contemplazione di quanto Dio ha compiuto in Cristo suo Figlio. 

È una domenica significativa, tanto che assomma diversi appellativi, cioè viene designata in tanti modi, almeno tre.

I più anziani la conoscono da sempre come la "Domenica in Albis", domenica delle vesti bianche. In questa domenica i neo battezzati della notte di Pasqua deponevano la veste bianca ricevuta nel Battesimo, quella veste che stava a indicare il loro essersi rivestiti di Cristo, il segno della loro nuova dignità di “figli di Dio”. Iniziava, in questa domenica, un cammino nel quale dovevano testimoniare Gesù Cristo, il Risorto, non distinguendosi per l'abito bianco, ma per le opere e le scelte della vita.

              

La Domenica della Divina Misericordia

Vent’anni fa, poi, per volontà di  papa Giovanni Paolo II, questa domenica è stata dedicata alla “divina misericordia”. Questo tema fa riferimento alle visioni e rivelazioni di santa Fuastina Kowalska (1905-1938) cui papa Giovanni Paolo II era particolarmente devoto. Secondo queste visioni – tradotte in una ormai famosa immagine – la misericordia divina scaturisce dal Cuore di Cristo Risorto. Trabocca dalla ferita sempre aperta del suo costato, aperta per noi, che sempre abbiamo bisogno di perdono e di conforto.

La misericordia divina è anche il dono più prezioso che la Chiesa deve dispensare con il perdono dei peccati, secondo il mandato di Gesù Risorto; la misericordia è, infine, la risposta dei cristiani nelle tempeste della vita e della storia: l’amore compassionevole tra di noi e verso tutti, specialmente verso chi soffre, chi fa più fatica, chi è più abbandonato, come ci ha ricordato papa Francesco.

Questo titolo, questo appellativo, pertanto, possiamo leggerlo anche in rapporto al vangelo di oggi, dove la misericordia paziente e fedele di Gesù si manifesta ancora una volta, specie a Tommaso, incredulo. Lui è incredulo. Ma il Signore lo ha atteso. Sì, perché la misericordia del Signore non abbandona chi rimane indietro.

La Domenica di Tommaso, l’apostolo

Ecco, la figura di Tommaso, che domina il vangelo odierno, per alcuni diventa motivo per identificare questa domenica con “la domenica di Tommaso”. Vangelo che ci racconta dell'apparizione di Gesù risorto alla sera di Pasqua e otto giorni dopo. È il primo incontro con i discepoli dopo la passione e morte; sono le prime parole che egli scambia con coloro che l'hanno vergognosamente rinnegato e sono fuggiti.

Ebbene: cosa fa, cosa dice, Gesù? Innanzitutto li saluta, dicendo: "Pace a voi!".

Il dono della pace

“Pace a voi": una formula che ricorre ben tre volte in questo brano. Non è certamente una  formula di augurio, ma è un dono. È piuttosto l'attuazione della promessa che Gesù aveva fatto ai discepoli nei discorsi di addio: "Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo io la do a voi". "Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore."

Una pace dunque che è liberazione da ogni paura, di se stessi e degli altri, della vita e della morte. Gesù Risorto non libera i discepoli dalle afflizioni del mondo, ma dà loro sicurezza, tranquillità, fiducia. "Non abbiate paura, io ho vinto il mondo", sembra ripetere.

I segni della passione

Poi Gesù mostra ai discepoli le sue piaghe. Essi devono convincersi che colui che sta vivo davanti a loro è lo stesso che è morto in croce, non un altro; essi devono riconoscere che Gesù, il Maestro, è andato effettivamente oltre la morte, vincendola.

Per tutti i discepoli e per tutti i tempi questi saranno i segni distintivi del Signore, segni della passione, certo, ma anche e soprattutto i segni dell'amore di Dio.

L'hanno compreso bene le generazioni passate che hanno saputo tessere anche una particolare devozione delle piaghe del Signore, una contemplazione del costato di Cristo.

Il dono dello Spirito

Infine alitò su di loro e disse " Ricevete lo Spirito Santo".

Come Dio aveva alitato il suo spirito su Adamo per renderlo un essere vivente, così Gesù alita il suo Spirito sui discepoli, gesto che esprime il dare inizio a una nuova creazione. Gesù dà inizio alla nuova creazione, donando il suo Spirito, rendendo cioè partecipi i discepoli di quel nuovo principio vitale che ha animato la sua persona, facendola risorgere.

Animati dallo stesso Spirito, anche i discepoli potranno vivere una vita interamente orientata a Dio. Lo Spirito permette loro, in particolare, di vincere il peccato, perdonandolo.

Il frutto della morte - il perdono dei peccati - viene ora partecipato alla Chiesa che diventa amministratrice della misericordia divina, mediante gli apostoli.

Dunque, il Risorto, dona la pace, mostra le piaghe, dona lo Spirito.

Con la pace nel cuore, il dono dello  Spirito Santo e il ricordo dei segni della passione, i discepoli potranno partire per testimoniare e annunciare il Cristo, per costruire la Chiesa.

Sì, i discepoli hanno visto, hanno capito, hanno ricevuto, e sono andati per il mondo, e più nulla li ha né fermati né intimoriti.

Tommaso, non essere incredulo!

Ma ci chiediamo: come possono arrivare a credere in Gesù Risorto gli uomini ai quali egli non si è mostrato direttamente come il Crocifisso risorto? Noi?!

A questo interrogativo sembra rispondere la vicenda di Tommaso e soprattutto la parola di Gesù a conclusione dell'incontro con Tommaso.

Tommaso, è l’apostolo che ci rassicura. Non è stato facile per lui, ma neppure per gli apostoli, credere alla risurrezione, e i vangeli non hanno timore a rivelarcelo. Tommaso, l’apostolo che sentiamo molto vicino a noi, col suo bisogno di cose reali, tangibili.

Il Signore lo capisce nei suoi dubbi e nelle sue difficoltà, lo prende in parola, Tommaso, e va incontro alle sue esigenze: "Metti la mano nel mio costato e credi".

Il Risorto mostra a Tommaso i segni della passione e aggiunge: "Tu hai creduto perchè hai veduto; beati quelli che pur non avendo visto crederanno".

Beati coloro che credono!

In quel momento parlava di noi, il Signore, di noi che non abbiamo potuto affondare lo sguardo e le mani nelle sue piaghe, e che magari ci consideriamo più sfortunati rispetto agli apostoli. In realtà nessuna inferiorità rispetto alla generazione che conobbe Gesù nella sua vita terrena.

In questo senso è illuminante la parola di S. Agostino che percepiva nella sua gente la presenza di questa nostra stessa nostalgia. Dice s. Agostino: "I discepoli vedevano il capo e non il corpo, noi non vediamo il capo, ma vediamo il corpo". Non vediamo il seme, ma vediamo l'immenso albero. Intendeva dire che la fioritura della Chiesa è un segno altrettanto eloquente della risurrezione di Gesù.

Quindi a  noi è chiesto di affinare lo sguardo, per saper riconoscere il Signore Risorto nella vita delle nostre comunità cristiane, nella vita della Chiesa: vita travagliata, per tanti motivi, ma sempre lì ad attestare con la Parola, con la sua stessa esistenza e con le opere che Gesù è davvero risorto, e ancora ammaestra, guarisce, consola.

Beati davvero, coloro che pur non avendo visto, credono!

 

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