Omelia del vescovo Egidio per la Messa Crismale
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1 Aprile 2021 - Chiesa Cattedrale

1. Ritorno in Cattedrale
La Messa crismale spalanca la porta e ci introduce nel triduo pasquale. È un appuntamento bello, gioioso. Il presbiterio si riunisce con l'abito della solennità, per la Messa che benedice e consacra gli oli, segni della Grazia del Cristo Risorto. Essi sanciscono fra l’altro il ministero presbiterale ed episcopale, attraverso il quale il Signore continua a generare la Chiesa.
Il crisma, in particolare, unitamente al rinnovo delle promesse sacerdotali, ci riporta al giorno della nostra ordinazione, qui, nella cattedrale e su questo presbiterio, con il vescovo e gli altri sacerdoti concelebranti.
Tante cose nel frattempo sono cambiate, di anno in anno ritorniamo diversi, forgiati e levigati dalle vicende della vita, talvolta anche un po’ provati, perché ogni cammino conosce i suoi punti critici. Eppure, questa celebrazione annuale vorrebbe ogni volta sancire un nuovo inizio, rinnovare lo slancio e l’entusiasmo: siamo qui, abbiamo conservato la fede, abbiamo ancora giorni e vita per onorare il nostro ministero.

2. Partecipi di un unico sacerdozio
Certo, quest’anno è un anno particolare, per molti versi drammatico. Ma un risvolto positivo c’è: la rarefazione degli incontri rende ancora più gratificante il nostro poterci ritrovare in questo giovedì santo ricco di memoria, di sentimenti, di affetti. L'accento della celebrazione e di questo giorno in particolare è posto sul sacerdozio ministeriale, sul ministero di salvezza di Cristo, di cui ogni ordinato viene fatto partecipe per sempre, e in cui ogni ordinato viene inserito.
Per questo vogliamo sentirci uniti non solo tra noi, ma anche a tutti coloro che condividono con noi questo sacramento e questa missione, ovunque si trovino. Quanto a noi, voglio ricordare in questo momento Mons. Luciano Pacomio, vescovo emerito, Mons. Sebastiano Dho, coloro che sono assenti perché impossibilitati dall'anzianità o dalla malattia, don Renato Chiera espressione della missionarietà della nostra chiesa e coloro che hanno lasciato il ministero.
Non possiamo, infine, dimenticare tutti coloro che ci hanno preceduto nell'eternità: una lunga schiera. Basti pensare che a partire dall'anno 1900 ad oggi, sono 1041. Qui però vogliamo ricordare con affetto coloro che ci hanno lasciato in questo ultimo anno, a cominciare dall'ultimo in ordine di tempo, don Renzo Coccalotto (lo faremo nella preghiera eucaristica).
Ognuno ha dedicato la sua vita e il suo ministero per l'edificazione di questa Chiesa monregalese di cui noi siamo eredi e custodi. Ci conforti essere in comunione con loro, proseguire la loro opera dentro l’opera del mondo e la costruzione del regno: sono passati loro e passeremo noi, ma intanto siamo chiamati a un compito nobile e capace di dotare di senso le nostre esistenze.

3. Destinatari di "un affetto di predilezione"
Dicevo di un giorno ricco di memoria e di affetti. Non per caso.
Oggi, infatti, cominciamo a far memoria di quegli eventi nei quali "Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito" (Gv 3,16). Nella Messa in Coena Domini leggeremo che "dopo aver amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine" (Gv 13,1).
Ma un'affermazione più forte era quella del prefazio della Messa Crismale: "Cristo comunica il sacerdozio regale a tutto il popolo dei redenti e con affetto di predilezione scegli alcuni tra i fratelli che mediante l'imposizione delle mani fa partecipi del suo ministero di salvezza".

"Con affetto di predilezione” è un'espressione bellissima.
Su di essa, per la verità, avevo costruito l'incipit di questa omelia, fin quando ho scoperto che il testo è stato modificato, nel nuovo messale. Lì, si dà rilievo, anziché all'affetto di predilezione per i ministri, all'amore per i fratelli cui i ministri sono destinati. Punti di vista… Certo, la “predilezione” insita nella scelta di Dio per noi, nulla toglieva al santo popolo di Dio. E in ogni caso, al di là della esplicitazione o meno del concetto, resta la certezza: ognuno di noi è stato scelto perché amato, e continua ad essere amato, appunto, con affetto di predilezione, in modo unico ed esclusivo. Il Signore, nonostante tutti i nostri limiti, ci ha veduti, ci ha chiamati, ci ha voluti operai della sua vigna.
Ne traggo due conseguenze. Primo, non dimentichiamolo mai: ogni impegno, ogni fatica, ogni sofferenza del nostro ministero devono essere illuminati e riscattati dal fatto di originare e radicarsi in questo “amore di predilezione” che ci avvolge da sempre e per sempre.
Secondo. Cerchiamo di rispondere a questo amore di predilezione. Come? Il rinnovo delle promesse che tra poco vivremo ci indica le coordinate essenziali: dovremo "unirci intimamente al Signore Gesù, modello del nostro sacerdozio, rinunziando a noi stessi"; "essere fedeli dispensatori dei misteri di Dio lasciandoci guidare non da interessi umani ma dall'amore dei fratelli".

4. Pastori: guide del popolo di Dio
Facendo memoria del giorno nativo del nostro servizio ministeriale, mi pare opportuno richiamare un aspetto fondamentale, quello della guida del popolo di Dio, che un'immagine può subito sintetizzare in modo eloquente. Anche la grande nave della Chiesa universale, come la piccola barca delle nostre comunità, necessita di un timoniere, o, per usare una metafora classica, ogni piccolo gregge necessita di un pastore.
Detto in termini teologici, se la Chiesa universale è presieduta, anche la singola comunità deve essere presieduta, guidata, e il concetto va inteso in senso molto concreto, nel quotidiano, con costanza: siamo stati costituiti per guidare il popolo di Dio e questo compito non può essere né sottovalutato né delegato né ignorato.

Invece, a volte è facile notare, se non una abdicazione a questa responsabilità, almeno una sorta di cedimento. Le motivazioni sono le più varie, da quelle personali (non tutti hanno la tempra della guida, o l’hanno via via perduta…) a quelle di carattere sociologico: il venir meno di un ruolo preciso, determinato, insieme alla relativa crisi di identità da parte del sacerdote; il dover contenere o evitare entro una certa misura la conflittualità; il confondere la bontà con il buonismo, la sinodalità con il democraticismo e via discorrendo. Tutto ciò induce un atteggiamento remissivo, condiscendente, dove si cerca di tenere insieme tutto e proprio per questo si finisce per perdere ogni cosa, forse alla fine anche noi stessi.
Si è insistito sull’esercizio dell’autorità come servizio, troppo poco sul servizio dell’autorità.

5. Ordinati per un ministero di salvezza
Eppure, basta poco, anche nelle nostre parrocchie, per capire i guai che si creano in assenza di una guida, di una linea definita e precisa che deriva dal semplice fatto che nella vita della Chiesa e del cristiano c’è di necessità una obbedienza al Vangelo. In riferimento a questa obbedienza si giustifica il servizio dell’autorità nella Chiesa.
Credo che qualche affermazione di tipo teologico e poi qualche considerazione pratica potrebbero esserci utili.

In generale: “Il ministro non è un semplice delegato dei suoi fratelli e delle sue sorelle. Lo mostra il fatto che un cristiano, benché pienamente aggregato al popolo di Dio, al corpo di Cristo, attraverso i sacramenti dell’iniziazione, non può presiedere in persona Christi se non mediante la ricezione di un altro sacramento, l’ordinazione” (L. M. Chauvet).
L’ordinazione non fa di noi dei cristiani superiori. Si è ordinati in vista di un ministero, di un servizio; non per una ragione personale di salvezza, ma per svolgere la missione di “pastore” all’interno della comunità cristiana: appunto, per presiedere.

I numeri 4-6 della Presbyterorum ordinis più dettagliatamente precisano che:
1. I presbiteri, nella loro qualità di cooperatori dei vescovi, hanno anzitutto il compito di annunciare a tutti il Vangelo di Dio;
2. In quanto “partecipi in modo speciali del sacerdozio di Cristo“, essi devono presiedere i sacramenti, in particolare l’Eucarestia, che è “fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione“;
3. In quanto “esercitano la funzione di Cristo capo e pastore“, essi ricevono “un potere spirituale che è appunto concesso loro per l’edificazione“ della Chiesa; essi hanno come compito specifico quello di “formare un’autentica comunità cristiana“.

Dunque, il tema del presidere si fonda su ragioni propriamente teologiche. La Chiesa, infatti, esige di essere presieduta, guidata. Sarà poi la consapevolezza di essere in persona Christi a permettere di trovare la giusta misura.
Poiché oggi, però, l’autorità del presbitero non può più legittimarsi unicamente in base al dato istituzionale, occorrerà acquisire due tipi di autorevolezza: da una parte quella dovuta alla competenza teologica e al savoir-faire pastorale, e dall’altra l’autorevolezza del carisma personale che consista in un saper essere che permette l’esercizio dell’autorità.

6. La responsabilità della presidenza eucaristica
Entro il tema generale dell'essere guida, capo, pastore, quale partecipazione del ministero di salvezza del Cristo, un posto preminente va riservato al ministero della presidenza Eucaristica, un tema che sento urgente anche alla luce dell'aiuto che dobbiamo offrire ai nostri fratelli per aiutarli a tornare a vivere l'Eucaristia con maggior consapevolezza.

Premesso che il sacerdozio ministeriale compie il sacrificio eucaristico in persona Christi e che la funzione del presbitero, in virtù della sua ordinazione, è quella di manifestare e di attualizzare il fatto che è Cristo a presiedere l’assemblea, a parlare al suo popolo, a prendere il pane, a pronunciare la benedizione, a spezzarlo e a darlo dicendo: “È il mio corpo, è la mia vita che io vi do”; premesso tutto ciò, la presidenza si esercita in modo adeguato solo attraverso una molteplicità di attenzioni, così che anche i diversi compiti e ministeri che interagiscono con il celebrante siano svolti con assoluta dignità.

In altre parole: non dobbiamo soltanto celebrare nella consapevolezza di essere custodi e non padroni del mistero celebrato (evitando sciatteria, grossolanità, improvvisazione); non dobbiamo soltanto celebrare con profonda umiltà per non apparire come protagonisti; ci è chiesto di garantire anche un decoro generale a tutto il contesto della celebrazione.
Siamo tenuti ad attivarci per suscitare collaborazioni capaci; istruire e formare al meglio le persone che collaborano alla celebrazione. Occorre preparare la celebrazione assumendosi la responsabilità di scelta, di guida, di indirizzo che il nostro ministero comporta.

Anche in questo campo non è giusto né educativo abdicare. Due esempi ci possono aiutare. I lettori vanno scelti, formati, indirizzati; bisogna garantire che chi legge legga correttamente, permettendo la comprensione all’assemblea. Allo stesso tempo anche i cantori vanno aiutati e istruiti nella scelta dei canti e nell’esecuzione, perché anche il loro apporto sia consono allo spirito e al decoro della celebrazione. La quale ha bisogno non solo del sacerdote che sappia presidere, ma anche della fattiva e complementare partecipazione di tutti i ministeri e i presenti.

Cari fedeli, diaconi, consacrati e laici presenti, in questa omelia mi sono soffermato soprattutto sul compito di guida che l’ordinazione conferisce ai presbiteri. Ma tale concentrazione non deve far perdere di vista la totalità del popolo di Dio, cui questo ministero è destinato e da cui sorge.
Chiedo pertanto di sostenere con la vostra vicinanza e corresponsabilità il ministero presbiterale così che tutti, pastori e fedeli, possiamo giungere felicemente alla meta della nostra fede, la Pasqua eterna.

+ Egidio, vescovo

 

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