Omelie per la festa della Natività di Maria
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Santuario di Vicoforte, 8 Settembre 2022

È bello essere qui, in tanti, insieme. Il Santuario ancora una volta crea unità, la Madonna crea unità.

Ancora una volta le porte di questo tempio – ora anche restaurate – si sono spalancate per accoglierci in questo giorno di festa. A conclusione della novena, oggi una rappresentanza di tutte le componenti della nostra terra si ritrova a onorare e pregare la Madonna di Vico, invocata come Regina del Monte Regale.

Questo Santuario che custodisce la sua immagine è il segno più eloquente della grande devozione dei nostri padri, una devozione che iniziata dal venerabile Cesare Trombetta è subito divenuta corale, generale. Se, pertanto, l’intuizione del progetto fu dei potenti del tempo, la realizzazione è dovuta all’intero popolo. Lo ha ben documentato la ricerca storica dello scorso anno, a partire dallo studio del manoscritto più antico del Santuario, finora mai trascritto né studiato: il “Libro delli conti del ricevuto e speso per la fabrica della Madonna del pilone di Vico” redatto dallo stesso Cesare Trombetta, primo tesoriere, dal settembre 1594 al marzo 1596. Davvero non siamo lontani dalla realtà se pensiamo che ogni mattone di questa costruzione è come se portasse il nome di una famiglia, di un devoto, di un offerente; ogni mattone è impregnato di preghiera e della fede dei nostri padri.

Da parte nostra sentiamoci continuatori di questa storia, sostenendo il santuario, vivendo la devozione personalmente e trasmettendola alle nuove generazioni

 

La natività di Maria: un bacio del cielo

Vorrei aprire con la suggestione di un testo poetico, scritto da Alda Merini e intitolato “Magnificat. Un incontro con Maria”.

“Quando il cielo baciò la terra nacque Maria.
Che vuol dire la semplice,
la buona, la colma di grazia.
Maria è il respiro dell’anima,
è l’ultimo soffio dell’uomo.
Maria discende in noi,
è come l’acqua che si diffonde
in tutte le membra e le anima,
e da carne inerte che siamo noi
diventiamo viva potenza”.

La poesia ha ragioni sue, e modi di esprimersi originali, non sempre razionalizzabili e del tutto spiegabili, ma che dicono più di tanti ragionamenti. Per esempio, la Natività di Maria letta come bacio del cielo alla terra ci dà l’idea di un dono del divino all’umano, del celeste al terreno, e di un’armonia cosmica che si compie.

La poetessa, poi, così immagina l’opera e la grazia di Maria nella vita dell’uomo: come acqua che si diffonde in tutte le membra e le anima. Potente metafora facile da capire, specie di questi tempi, afflitti dalla carenza di pioggia e quindi dal desiderio e dall’attesa del più prezioso degli elementi. Non solo: da carne inerte, grazie a lei, diventiamo vivi. Bellissimo: la devozione alla Madonna porta ad attualità e a pienezza ciò che abita in noi come pura potenza. Saremmo, potremmo essere, ma in realtà non siamo, finché lei non ci vivifica e non ci trasforma.

Idea che da sola dovrebbe esortarci a riconsiderare il ruolo di Maria nel nostro orizzonte interiore e nella nostra vita. E quindi mi domando, vi domando: la ricordiamo? La preghiamo? Confidiamo in lei?

 

 

La natività di Maria ci ottenga unità e pace

Se dalla poesia passiamo alla liturgia, meno immaginifica e più concreta, ecco che troviamo parole di altro taglio ma non meno preziose. Le abbiamo ascoltate prima; così abbiamo pregato:

“Donaci, Signore, i tesori della tua misericordia e poiché la maternità di Maria ha segnato l’inizio della nostra salvezza, la festa della sua natività ci faccia crescere nell’unità e nella pace”.

Credo valga soffermarsi su due concetti: unità e pace, due ‘valori’ che vanno di pari passo. Inscindibili, direi. La pace è infatti condizione necessaria perché vi sia unità, ma senza unità neppure si dà la pace.

Volendo scomodare un antico, sovvengono le parole dello storico romano Sallustio: “Nella concordia le cose piccole crescono, nella discordia le cose grandi rovinano” (Bellum Iugurthinum).

Non contano in realtà le epoche: ci sono delle verità sempre valide. Era vero a Roma nel primo secolo a.C., è vero oggi: in qualsiasi contesto la concordia, l’unità e la pace sono elementi decisivi per lo sviluppo armonico di una civiltà. Dove la guerra o le divisioni lacerano, lo sviluppo ordinato passa in second’ordine, e tutto diventa problematico. I duecento giorni della guerra in Ucraina, lo attestano inequivocabilmente.

Mi soffermo su tre aspetti.

Unità nel territorio e nelle Istituzioni

Penso anzitutto al territorio, e alla comunità civile. La festa di oggi raduna ormai da qualche anno i rappresentati e i responsabili delle Istituzioni. Grazie per la vostra preziosa presenza che costituisce un richiamo per tutti! Ci sono le Autorità militari e civili, i sindaci, gli amministratori della cosa pubblica: è bello, almeno una volta all’anno, esprimere anche visibilmente questa unità. Ma sarebbe ancora più bello riuscire a viverla anche oltre questa circostanza, in quella comunione di intenti che si sente, quando c’è; che scalda i cuori degli umani, quando procedono d’intesa e insieme raggiungono dei risultati.

Il nostro è un territorio vasto e insieme problematico, sotto tanti aspetti: lo rendono più fragile di altri la vastità, le distanze, lo spopolamento, la denatalità; fattori cui si aggiunge l’asprezza dei tempi, che ci hanno riservato una pandemia che non abbiamo ancora sconfitto e una guerra meno lontana di quanto i padroni dell’informazione abbiano ultimamente voluto farci credere; l’autunno sarà particolarmente difficile, e – ci viene ripetuto – ci porterà privazioni cui non siamo più abituati.

Sono contingenze che, se le affronteremo divisi, più profondamente ci metteranno in difficoltà; ma al di là di esse, in generale e sempre quanto sarebbe utile e fruttuosa quella “social catena”, quella vera solidarietà degli umani che è l’ultimo approdo del pensiero di un grande come Giacomo Leopardi (cfr La ginestra) il quale era giunto infine a comprendere che contro le cieche forze della natura agli uomini non resta che aiutarsi fra loro, mentre è folle quando a malattie, terremoti e catastrofi aggiungono le loro divisioni, i loro egoismi, i dispetti puerili di chi ha di vista più il danno del singolo rivale del bene proprio e di tutti. Un ammonimento che dobbiamo raccogliere. Non dimentichiamolo: le istituzioni e chi le rappresenta tracciano una linea, uno stile, che si riverbera anche irrimediabilmente nelle persone, nei cittadini  e nelle reciproche relazioni.

 

Unità nella comunità cristiana

Nella Chiesa, ovvero nelle nostre parrocchie, del resto, non è minore l’esigenza di unità – che poi significa concordia, collaborazione, sintonia, o, come andiamo dicendo da tempo, ormai, il “camminare insieme”. Tanto più necessario dove si annuncia il Vangelo, buona notizia da Cristo affidata a una comunità di discepoli, non a un singolo e neppure a un libro. No, parola detta a un gruppo di uomini in ascolto.

Per noi credenti, la ricerca di unità si carica di ulteriore significato: non conta solo in vista di risultati, ma costituisce un problema di testimonianza. Dopo l’elezione, all’inizio del suo effimero pontificato, Papa Luciani incontrando il Sacro Collegio dei Cardinali usò una felice espressione: disse che lui e loro avrebbero dovuto dare al mondo “spettacolo di unità”. Credo che valga tanto più per una Chiesa locale e per una parrocchia: dobbiamo tutti ancora crescere nella direzione dell’unità, superando gli ancora troppi personalismi, le discrezionalità nella conduzione delle singole comunità, nella partecipazione ai momenti diocesani. Non è desiderio di uniformare, ma di valorizzare le singole realtà amalgamandone e valorizzandone le ricchezze. Senza contare che i personalismi o l’autoreferenzialità creano tensioni, perdite di tempo, confusione nelle persone.

Purtroppo permangono lentezze nel coinvolgimento nelle Zone: dobbiamo invece capire e convincerci che le parrocchie piccole e medio-piccole necessitano di un respiro più ampio e che quelle grandi possono e devono sostenere le altre e stare in comunione tra loro. C’è un’oggettiva scarsità di forze: se le disperdiamo dividendoci, lasciamo il pane della realtà locale privo del nostro lievito, che invece le è necessario molto più di quanto non ne sia consapevole.

Il 14 settembre inizierò la Visita pastorale nella Zona Ceva-Val Tanaro. Tra gli scopi che mi prefiggo c’è indubbiamente anche questo, che è compito e responsabilità prima del vescovo: creare unità, favorire unità, far crescere nell’unità, sempre ricordando l’auspicio di Gesù: “perché siano una cosa sola”.

 

Unità nelle famiglie

Un ultimo punto: l’unità nelle nostre famiglie, ambito che mi sta particolarmente  a cuore, anzi mi genera non poche apprensioni. Nucleo fondamentale della società civile e della comunità ecclesiale, oggi anche la famiglia è in grande in difficoltà. Ovunque. Ma perdonate se il mio discorso non vuole essere generico e guarda al nostro territorio, che ha caratteristiche proprie, come tutti.

Dopo cinque anni e la presenza assidua in tutte le realtà, dopo tanto ascolto, inevitabilmente un’idea me la sono fatta: insieme a tante belle famiglie più che altrove ho veduto famiglie in sofferenza a motivo di divisioni e separazioni, spesso favorite, purtroppo, anche da una certa leggerezza di comportamento, dall’adesione sventata a falsi modelli edonistici, per cui si mette in gioco la saldezza della vita propria e di altri sull’altare della autogratificazione proveniente da un tradimento, da una nuova relazione, magari senza reali prospettive, o, peggio, da una visione ludica e spersonalizzata dell’eros, come quella offerta da fenomeni legati al virtuale o allo scambismo di coppia. Per qualche ora di piacere o per qualche mese di apparente novità relazionale, si destabilizza così il contesto famigliare, luogo invece della vita autentica e soprattutto della crescita dei figli. Un fenomeno davvero preoccupante, quando non degradante, anche solo dal punto di vista umano, al di là di ogni concezione religiosa.

Non crediate, cari adulti, che i ragazzi, gli adolescenti, i giovani non vedano, non osservino, non registrino. Non crediate che le disarmonie o le sbandate dei genitori non vengano colte. E non crediate che i vostri figli guardino con indifferenza o non soffrano. La vita che conduciamo è sotto i loro giovani occhi e ferisce i loro giovani cuori, così ancora votati all’assoluto, alla fiducia, alla speranza. Basta raccoglierne le confidenze per accorgersi del loro dolore, che diventa anche disagio psichico, fragilità, disimpegno, perfino desiderio di morte. Sì, anche desiderio di morte! Pensiamoci: mai Gesù è drastico come quando usa quell’immagine terribile che si legge in Matteo. “Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare”.

Chiediamoci la ragione di tanta durezza, da parte di Gesù. Semplice: perché minare lo sguardo sul mondo di un giovane significa disilluderlo per sempre, seminare nel suo cuore il germe del sospetto e dell’amarezza, perderlo a un rapporto realmente costruttivo con la realtà. Significa presentargli la vita nel suo aspetto peggiore. Quando, invece, avremmo il dovere, appunto, di mostragliela nella sua bellezza, nella sua serietà, nella sua nobiltà.

Possa davvero Maria aiutarci in ogni ambito perché non veniamo meno a questo sacro dovere; possa la Regina del Monte Regale che è innanzitutto “madre”, condurci a cercare la vera unità e la vera pace, per il territorio, per la Chiesa e, appunto, per le nostre famiglie.

+ Egidio, vescovo

 

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