Omelia del vescovo Egidio per la solennità della Pentecoste
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31 Maggio 2020 - Santuario di Vicoforte

 

La festa di Pentecoste, dopo la Pasqua, è il momento più importante dell’anno liturgico. Essa costituisce, infatti, la conclusione dell’opera di Gesù, la pienezza dell'evento pasquale: Gesù risorto, asceso al cielo, compie la promessa fatta ai discepoli di inviare loro lo Spirito Santo, “un altro Consolatore” (Gv 14,16), che starà con noi per sempre. In San Giovanni, la parola Paràclito (Consolatore) indica sia Cristo (1 Gv 2,3) che lo Spirito. «C’è una sola differenza tra Gesù e il Consolatore: Gesù parlava di fronte ai discepoli che lo ascoltavano, mentre il Consolatore, che con il Figlio e il Padre viene ad abitare nel credente, parla come un “maestro interiore”, con più forza, potremmo dire» (E. Bianchi). Pertanto, non siamo stati lasciati soli da Gesù, e quel Dio che dovevamo scoprire fuori di noi, davanti a noi, ora dobbiamo scoprirlo in noi.

LA PENTECOSTE NARRATA DA LUCA

La Pentecoste, che porta nel suo nome il significato di cinquanta, era per il popolo d’Israele la celebrazione della festa dell’Alleanza. Ricordava gli avvenimenti del Sinai, quando Dio, mediante Mosè, aveva proposto a Israele di essere il suo popolo. Molti pellegrini venivano a Gerusalemme in tale occasione, provenienti da tutte le regioni.

Ebbene, "mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste" e i discepoli si trovavano tutti insieme nello stesso luogo – la tradizione vuole che il luogo sia il Cenacolo – "venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi". È indubbiamente questo il racconto più noto della Pentecoste, quello narrato da Luca nella pagina degli Atti degli Apostoli.

Essi erano riuniti in un luogo chiuso, raccolti insieme dalla paura; e quel luogo rischia di diventare una prigione. Ma il dono dello Spirito darà la forza e lo slancio di partire e di iniziare finalmente il compito affidato da Gesù: essere suoi testimoni, testimoni della sua morte e risurrezione, testimoni dell’amore di Dio, fino ai confini della terra.

 

LA MOLTEPLICE AZIONE DELLO SPIRITO

Artefice di questa trasformazione è appunto lo Spirito Santo, indubbiamente la persona più misteriosa e sconosciuta della Trinità. Quando, infatti pensiamo a Dio Padre, noi siamo aiutati dalla nostra esperienza della paternità umana; quando parliamo del Figlio, di Gesù Cristo, ricordiamo che egli è stato uomo come noi e i tratti della sua umanità che il Vangelo ci consegna; quando invece parliamo dello Spirito Santo la nostra immaginazione non ha molti punti d’appoggio.

Ed è significativo il fatto che la sua presenza e la sua azione vengano descritti in tanti modi. Egli, infatti, può comparire in tante figure: come rumore di tempesta e fuoco – vedi il racconto della prima Pentecoste – ma anche in modo del tutto dolce e interiore, come lo descrive la sequenza.

Egli, come dice Gesù, è vento “che soffia dove vuole, tu senti la sua voce ma non sai da dove viene e dove va” (Gv 3,8) e in ciò percepiamo la sua libertà. È soffio, alito di vita: e in ciò intuiamo la sua forza. E ancora: egli è fuoco che incendia il cuore e purifica; egli è “acqua viva”, principio di vita e di fecondità.

Tante immagini, tutte certamente inadeguate e collegate, per descrivere l’opera dello Spirito nel mondo, nella Chiesa, nel cuore dei credenti. E la sua effusione è perenne, perchè a tutti sia possibile rifare l’esperienza della Pentecoste, ricevendo lo Spirito. Dopo la prima, che oggi celebriamo, vogliamo soprattutto ricordare in questo momento l’effusione personale dello Spirito nella vita del credente, che trova i suoi momenti più intensi e significativi prima nel Battesimo e poi nella Confermazione. È la Pentecoste senza i segni esterni (il vento, il fuoco, le lingue), ma un avvenimento che raggiunge le profondità del cuore, il nostro intimo.

Ci soffermiamo sulla pagina degli Atti degli Apostoli e sul Vangelo, che ci narrano, da prospettive diverse, della discesa dello Spirito Santo.

 

LA CHIESA COME LUOGO DELLO SPIRITO

Nella prima Pentecoste narrata dall’evangelista Luca è significativo che questo dono del Risorto avvenga mentre “si trovavano tutti insieme nello stesso luogo”. Sono ancora nascosti per paura dei Giudei. Forse pensavano bastasse coltivare il ricordo del maestro all’interno del piccolo gruppo. Ma lo Spirito Santo con la sua irruzione impedì “che la Chiesa restasse sinagoga, cioè luogo chiuso per eletti; realizzando una comunità universale e missionaria.

 

Proviamo ad attualizzare. È questa un’immagine indispensabile per definire la Chiesa.

Se stiamo insieme nello stesso luogo è per una ragione precisa: la memoria di Cristo che ci riunisce, l’ascolto delle Scritture, la celebrazione dei gesti della tradizione cristiana, rinnovano la consapevolezza della nostra identità, del nostro essere figli nel Figlio.

E tuttavia questo luogo che ci accomuna, per quanto accogliente e significativo, non basta. Potrebbe diventare "recinto", "prigione" che ci chiude agli altri. Esso deve, invece, diventare un luogo dello Spirito, ovvero un luogo che ci raduna, certamente, per accogliere quel dono dall’alto che poi invita, spinge ad uscire nel mondo perché il messaggio del Vangelo sia una possibilità per tutti, tutti lo possano ascoltare e tutti lo possano accogliere. In questo senso comprendiamo il dono dello Spirito che fa parlare i discepoli nelle lingue che tutti possono comprendere.

La Chiesa pertanto, la comunità cristiana, deve divenire non solo il luogo dell’appartenenza ma anche il luogo della partenza, della missione, che autorizza ed incoraggia il cammino per le vie del mondo. E il dono dello Spirito è indispensabile perché ciò avvenga. E dove avviene, là lo Spirito è disceso ed è accolto.

 

IL DONO DELLO SPIRITO NEL QUARTO VANGELO

Ma, come sopra dicevamo, anche il Vangelo di Giovanni parla del dono dello Spirito, e lo fa con alcune sue accentuazioni.

Questa Pentecoste si svolge nello stesso luogo di quella narrata negli Atti degli Apostoli, nel Cenacolo, ma non nello stesso tempo. Una contraddizione? No, due racconti che si integrano, presentando l’evento da due angolature diverse.

San Giovanni colloca il dono dello Spirito Santo il giorno stesso della risurrezione, la sera di Pasqua, quando Gesù venne in mezzo ai discepoli, li salutò consegnando la sua pace e facendosi riconoscere con i segni della passione. Inoltre “alitò” su di loro dicendo: “Ricevete lo Spirito Santo. A coloro cui rimetterete i peccati, saranno perdonati”. Questa descrizione ci mostra più chiaramente il legame tra la Pasqua e il dono dello Spirito.

 

LO SPIRITO SANTO PRINCIPIO DI VITA NUOVA

Notiamo subito una cosa: se nella pagina degli Atti degli Apostoli, la manifestazione dello Spirito è dono fatto alla Chiesa per la sua missione, è un dono pienamente visibile e i suoi effetti sono soprattutto in rapporto alla comunità, questa è indubbiamente una Pentecoste diversa, “piccola”, senza clamore. Giovanni vede lo Spirito come il principio della vita nuova. Qui lo Spirito viene dato per la remissione dei peccati, “per essere liberi interiormente, liberi da ciò che ci rinchiude dentro, il peccato”. Questo mi sembra suggerire, o mettere in evidenza: un’azione più personale ed interiore dell’opera dello Spirito. L’uomo, per rinnovarsi e poter uscire dalle sue meschinità e chiusure (dal suo peccato) ha bisogno dello Spirito. La conversione non è un puro atto di volontà, ma è ascoltare lo Spirito, lasciarsi guidare dallo Spirito, accogliere lo Spirito. Diciamolo diversamente: è lo Spirito a strapparci dal peccato e a farci creature nuove. La remissione dei peccati viene a noi per grazia, certamente sul presupposto del nostro pentimento, ma in virtù del sangue di Cristo, per la forza dello Spirito Santo. Più semplicemente ancora: la remissione dei peccati è un luogo privilegiato ove si manifesta la grazia e l’azione dello Spirito Santo. La missione, pertanto, è partenza per l’annuncio del Vangelo, e parte integrante della stessa è il perdono dei peccati.

DONO DEL RISORTO PER CHI LO RICONOSCE

Altro dettaglio importante: è Gesù Risorto a donare lo Spirito Santo; lo Spirito è un suo dono. Solo da un rapporto diretto con Lui, solo se lo si riconosce, si ottiene di avere in sé quel pungolo meraviglioso che è lo Spirito. In assenza del riconoscimento del Risorto e dell’accoglimento del suo alito, restiamo povera carne abbandonata alle proprie opere e al proprio fallimento. Gesù, riconosciuto e accolto, ci trasforma, ci immette quella vitalità nuova e inesauribile che è lo Spirito Santo, voce intacitabile dentro la coscienza, cui daremo ascolto come potremo, ma che, instancabile, dobbiamo credere che ci assisterà fino all’ultimo decisivo istante della nostra vita.

Invochiamo pertanto questo dono per noi stessi, per la nostra comunità ecclesiale e per il mondo intero perché accogliendolo si attui un rinnovamento, una risurrezione, di cui sempre avvertiamo l’esigenza anche e soprattutto in questo complesso tempo che stiamo vivendo.

 

INVOCARE LO SPIRITO NELLE CIRCOSTANZE ATTUALI

E concludo. Fra i doni dello Spirito, almeno tre – ritengo – saranno fondamentali tanto nella fase attuale come in quella che ci attende: Intelletto, Sapienza e Consiglio.

In fondo, ogni pausa grande è un’occasione di ripensamento e discernimento, ma per coglierla bisogna saper “leggere dentro” con l’Intelletto, così da giungere alla verità delle cose; bisogna valutare con la Sapienza equilibrata e deliberare con il Consiglio, che ci fa cercare il bene secondo la volontà di Dio.

Se non utilizzeremo questi doni e non avremo lo Spirito Santo a guidarci, temo che sprecheremo la dolorosa possibilità di una reale conversione, o comunque di un efficace rinnovamento, che questi mesi ci stanno comunque offrendo.

 

+ Egidio, vescovo

 

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